La strage inizia puntuale ogni anno a settembre. Avviene tutto a Taiji, cittadina giapponese a 500 Km a Sud-Ovest di Tokyo, affacciata sul Pacifico davanti a una delle grandi rotte migratorie di delfini. La scena è collaudata: ai primi segni dell’arrivo dei cetacei nella loro transumanza verso i mari del Sud, i pescatori prendono il largo e, battendo i remi sull’acqua, creano un «muro di suono» che disorienta i delfini e li fa finire dentro le reti, con cui vengono poi trascinati in un’insenatura naturale poco distante da Taiji.
Alcuni esemplari (poche decine) vengono prelevati e spediti a esibirsi nei vari delfinari del mondo. Gli altri, almeno 20mila all’anno, diventano oggetto di una carneficina a colpi di ramponi e fiocine: alla fine della mattanza l’acqua turchese della baia si tinge di un sinistro rosso porpora. La carne dei cetacei uccisi viene poi macellata per essere venduta - spesso spacciandola per carne di balena, una leccornia nazionale in Giappone - o, almeno fino a qualche tempo fa, per essere servita nelle mense cittadine, anche quelle scolastiche.
Il massacro
Finora la mattanza di Taiji era un segreto tutto sommato ben custodito o perlomeno ben celato all'opinione pubblica mondiale. Non mancavano voci di pratiche di pesca truculenta nella cittadina giapponese dove, all’apparenza, il delfino viene venerato (a Taiji ci sono statue, mosaici e murales di delfini ovunque), ma mai occhi «estranei» avevano potuto vedere quanto davvero accade in quella baia.
A mostrarlo in tutta la sua crudezza c’è ora «The Cove» («La Baia»), un documentario presentato e premiato all’edizione 2009 del Sundance Film Festival e il cui trailer, accessibile in Rete, viene visto da un numero crescente di internauti sbigottiti.
A girare il film-denuncia sono stati Louie Psihoyos, acclamato fotografo con 18 anni di National Geographic alle spalle e Richard O’Barry, che negli Anni Sessanta addestrò il delfino superstar della serie Tv Flipper e che ora, proprio a causa di quell’esperienza, è il più convinto oppositore della cattività dei delfini. Per realizzare le riprese subacquee Psihoyos e O’Barry si sono rivolti a una coppia canadese di assi dell'apnea - Kirk Krack e la moglie Mandy-Rae Cruickshank, otto volte campionessa mondiale di free diving. Sono stati loro due a immergersi in profondità, entrando non visti nella baia, e a posizionare le telecamere ipersensibili con cui sarebbero state riprese da sotto le scene dello scempio.
L’intero perimetro dell’insenatura in cui si compie la mattanza è infatti circondato da siepi di tela catramata sormontate da filo spinato e tenuto sotto stretta sorveglianza da telecamere a circuito chiuso e guardie armate.
Il regista boicottato
Montato come un thriller, il documentario, che limita a due minuti le impressionanti immagini della carneficina dei delfini («Sono più che sufficienti per capire che cosa avviene in quella baia» dice O’Barry), mostra come Psihoyos abbia inizialmente provato a girare il film in modo «legale», chiedendo regolare permesso; e come - dinanzi a rifiuti secchi e minacce neanche tanto velate (senza giri di parole, il sindaco di Taiji avverte Psihoyos che avvicinarsi alla baia può voler dire farsi molto male) - il team sia allora «entrato in clandestinità» per produrre il filmato che dà conto dei fatti.
Ora, spinto dal crescente tam tam mediatico, soprattutto online, il film sta uscendo dai circuiti underground e presto arriverà alla visione del grande pubblico. La cui reazione, si prevede e si spera, sarà quella di una forte ondata d’indignazione: proprio ciò che Psihoyos e O’Barry si erano proposti avventurandosi a girare il loro film. Una prima indicazione al riguardo l’ha già data la città australiana di Broome, gemellata con Taiji in virtù della presenza di una nutrita comunità di pescatori originari di quell’area del Giappone: la relazione privilegiata fra le due città - ha mandato a dire il consiglio comunale di Broome al suo omologo di Taiji - riprenderà solo se e quando la mattanza dei delfini cesserà......
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