LE PELLICCE FATEVELE CON I PELI DEL CULO !!!


Ogni anno oltre 40 milioni di animali allevati o catturati vengono uccisi per la loro pelliccia, 300 mila solo in Italia. Gli animali da allevamento trascorrono la loro breve vita (7-8 mesi) in gabbie strettissime, le zampe lacerate dal fondo in rete metallica, esposti al vento e al freddo per infoltirne il pelo. Vengono uccisi nei modi più barbari, con scosse elettriche per via anale e genitale, asfissiati in camere a gas, per rottura delle ossa cervicali, con iniezioni di stricnina. Ogni anno milioni di animali selvatici sono vittime di trappole, un metodo di cattura crudele che l’Unione Europea ha vietato pur continuando ad importare dal Canada pellicce di animali uccisi in questo modo (linci, volpi, lontre, castori). L’Italia è anche importatrice di pelli di cuccioli appartenenti a diversi specie di foche e otarie.
Le specie più utilizzate dall’industria della pelliccia sono i conigli, i visoni e le volpi, ma anche cincillà, foche, marmotte e coyote. Il numero di animali sacrificati per confezionare una sola pelliccia dà i brividi: dai 10 ai 24 per la volpe, dai 30 ai 60 per il visone, fino a oltre 200 per l’ermellino e il cincillà. Lo scorso anno il governo italiano ha posto delle restrizioni agli allevamenti e dal dicembre 2008 non sarà più possibile importare nell’Unione Europea pellicce di cani e gatti. Queste ultime rappresentano l’ultimo grande business dell’industria della pelliccia che è riuscita in pochi anni a rilanciare un settore dall’immagine appannata introducendo attraverso la grande distribuzione, oltre che nei negozi delle griffe, capi e accessori addizionati di inserti e orlature in pelo di animali domestici a prezzi bassi, per lo più di origine cinese, camuffandone la provenienza in etichetta (se presente) con nomi di fantasia: asian jackal, wildcat, special skin, sobaki, asiatic racoonwolf, ecc. La verità è che fare applicare le leggi in assenza di controlli e obblighi di etichettatura di origine è estremamente difficile. Malgrado ciò è stato possibile alle associazioni animaliste italiane, grazie a campagne di pressione incisive e partecipate, ottenere lo scorso anno l’impegno ufficiale da parte del gruppo Rinascente e di Upim di cessare la commercializzazione di capi con pelo animale (già nel 2007 Upim e nella stagione autunno/inverno 2008 La Rinascente). Il gruppo Coin ha annunciato il 25 gennaio scorso che adotterà un politica “fur free” graduale in un arco di tempo fra il 2008 e il 2011.

L’Associazione Animalisti Italiani ha steso un elenco degli stilisti “più cattivi”
che sono: Roberto Cavalli (utilizza pellicce di ogni specie animale: lupi, giaguari volpi, leopardi, cavallini e pitoni), Dolce & Gabbana (nel 2004 hanno prodotto addirittura pellicce per bambine), Prada (è uno dei pochi stilisti in Europa ad utilizzare ancora pelli di foca), Simonetta Ravizza (ha fatto della pelliccia una cifra stilistica; a breve uscirà una sua linea di sneaker Superga foderate in pelo), Donatella Versace (per la sua cocciutaggine gli animalisti hanno coniato per lei uno slogan ad hoc: “La pelliccia è portata da animali stupendi e persone orrende”), Giorgio Armani (si dichiara contrario alle pellicce ma le usa nei capi di alta moda perché, ha dichiarato ai giornalisti, la pelliccia fa subito “couture”). Si rifiutano di creare modelli con pellicce gli stilisti Stella McCartney, Todd Oldham, Calvin Klein, Betsey Johnson, Mark Bouwer. La griffe americana Guess ha ceduto alle pressioni e promette di diventare “fur free” dall’autunno/inverno 2008.

L’Associazione Italiana Pellicceria, per proteggere un giro d’affari di quasi 2 miliardi di euro dai tassi di crescita promettenti, ha presentato nel novembre 2007 un progetto di etichettatura volontaria con il quale si propone di garantire la provenienza delle pelli e il rispetto delle leggi sul benessere animale....

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