GUERRIERI DELL'ARCOBALENO


Non so quanti di noi siano Guerrieri dell’Arcobaleno. So comun­que che ce ne sono già tanti in ogni luogo della Terra e che il loro numero sta crescendo sempre di più.
Volerlo essere è facile: basta amare e rispettare la Creazione. Volerlo essere è difficile; si deve infatti prima di tutto imparare a disimparare molto del tanto che ci è stato insegnato e che ci ha allontanati dalla Creazione stessa. Ci può volere davvero tanto tempo, costanza, amore e pazienza soprattutto verso noi stessi, che diventiamo i bambini a cui dobbiamo insegnare tutto da capo. Spesso sbaglieremo ancora, spesso riterremo di essere sulla strada buona e ci accorgeremo un attimo dopo di essere ancora una volta vittime di antichi pregiudizi, stupidi luoghi comuni, modi di pen­sare che non ci appartengono. Le vecchie abitudini torneranno ad avere il sopravvento: è facile non poter fare a meno, alla fine, del nostro persecutore; è difficile lasciarsi andare alle passioni laddo­ve esse servano a condurci solo ad innamorarci della perfezione. Se ci si lascerà piegare come una pianta di bambù ma si saprà resi­stere, se non ci si schianterà come una quercia che con arroganza pensa di essere incrollabile, si sarà già percorso un buon tratto di strada.
A quel punto si potrà continuare a voler essere un Guerriero dell’Arcobaleno. Si sarà ancora vulnerabili ma incredibilmente più forti che in passato, penseremo. E invece sarà anche più duro di com’era prima di imbarcarsi in quest’impresa. Perché ci si sen­tirà soli, ed è terribile scoprire di essere soli in mezzo a una miria­de di esseri umani uguali a noi. Si avranno da dire e da fare tante cose e ci si accorgerà di non trovare orecchie disposte ad ascolta­re, e non si saprà da dove cominciare per cambiare davvero le cose. Credo inoltre che nessuno dovrebbe mai assumersi il ruolo di “insegnante” di nessun altro. Pensare di essere un maestro ritengo sia peccato molto grave. Con tutta la buona fede che si può avere, pare presuntuoso assumersi tale compito. Sarebbe oltremodo giusto che ognuno arrivasse a costruirsi il suo mondo con le sue stesse mani. Ma non sempre è così, o quantomeno, a volte sembra opportuno il voler tentare di accorciare le distanze, soprattutto quando si avverte che i tempi lo esigono. Così si deve provare a condividere con gli altri quello che si sente, che si sa, che si ritiene buono, e aspettare con pazienza di vedere germo­gliare i nostri semi, sempre che i semi siano quelli di una buona pianta. Può funzionare, così come può risultare sforzo vano, sciocco e inutile.
Si sarà dunque soli, si sarà perduta la vecchia strada fatta di vuote certezze, ma pur sempre la strada che la maggioranza della gente percorre da sempre; si sarà sbigottiti, confusi, così confusi dal giungere alla conclusione di avere sbagliato a lasciar andare tutto per … per cosa poi? Per niente.
Quello sarà davvero il momento più cattivo: il baratro che ci si aprirà dinanzi e alle spalle. Ci si scoprirà in bilico su un sostegno fragilissimo: in qualunque direzione ci si volterà non si vedrà altro che una spessa coltre di nebbia. Sotto di noi sarà il precipizio nel quale si potrebbe scivolare senza mai arrivare a toccare il fondo. Sopra, di contro, sarà l’assenza di una voce, di un segno che ci indichi che cosa fare.
Si dovrà andare avanti. Letteralmente. Basterà trovare appena quel poco di coraggio necessario ad allungare un piede sul niente e camminare: prima un piede, poi l’altro, e poi un altro ancora… Quello che ci era parso il vuoto più opprimente ci sosterrà, essen­do ciò che facciamo il più solido dei fondamenti. Potremmo sen­tirci forse ancora soli, voltare le spalle e vedere le cose a noi fami­liari sfumare a poco a poco insieme alla moltitudine delle facce di chi ci è stato compagno di viaggio per tutto quel tempo che non tornerà mai più; sentire freddo, provare terrore per la buia oscu­rità che ci si parerà dinanzi e che dovremo attraversare.
Non credo sia così, che cioè si vada incontro alla solitudine e alle tenebre. Penso, al contrario, che a quel punto del nostro percor­so si accenderà una luce, che la strada si farà più ampia e sicura, che voltandoci un’ultima volta vedremo altri seguirci. Non perché presuntuosamente noi saremo stati loro d’esempio. D’esempio lo si deve essere prima di tutto per noi stessi. Semplicemente perché altri cominceranno a non avere più paura, o saranno affascinati dalla paura o con essa intenderanno cimentarsi. Non è importan­te capire perché a volte si facciano certe cose. È importante com­prendere quando è tempo di farle. E questo è il tempo e bisogna avere fretta di farle, queste cose, se non si vuole rimanere per sem­pre indietro....

(Commento di Enzo Braschi nel suo libro Vicini alla Creazione, IdeaLibri 2000, pag 296-298)

Nessun commento:

Posta un commento