AVARIZIA DI SE (donare e donarsi)


Ci sono diversi modi per donare e donarsi e ci sono momenti nella vita in cui farlo diventa quasi un’esigenza almeno per chi prende consapevolezza dell’importanza di fare dono di sé. Alcune tipologie umane sembrano avere più difficoltà a donare qualcosa di sé o della propria conoscenza al mondo, altre sembrano non volere fare altro. Quando si può prendere coscienza dell’importanza di dividere i talenti? Quando si è messo ordine nella propria vita. Quando si sono sistemati gli armadi, si è visto quanta roba non si usa, quanta roba è vecchia, quanta roba è ancora usabile e quanta roba si può donare, allora si è in grado di pianificare la donazione. Lo stesso vale per la mente umana e per i talenti acquisiti o innati della persona. Il discorso sull’attaccamento è valido anche in questo caso, più io sono “attaccato” a qualcosa di me, più non me ne voglio separare, meno darò. Anche il possesso in questo caso è un discorso inerente: più penso di dover possedere, meno voglio distaccarmi dall’oggetto amato o posseduto. Ma, chi è naturalmente portato a “trattenere”, può imparare a donarsi? A donare? Certo, il donare fa parte di un percorso evolutivo e come ogni cosa si impara anche questa. Ma vediamo prima che l’avarizia di sé esiste per vari motivi: - poca coscienza dei propri talenti (non so fare nulla o poco, non ho nulla da dare, devo ancora imparare io, ecc.) - paura di perdere (non so abbastanza e quel poco che so non posso darlo via, non ho abbastanza e prima devo prendere…); - paura del vuoto interiore, senso di pochezza (non ce n’è abbastanza: di amore, di energia, di soldi, di salute, di conoscenza…). Chi ha questi pensieri difficilmente farà dono di sé agli altri o al mondo. Un altro punto per questo essere umano da capire è che il donare-donarsi incrementa e non diminuisce la sua conoscenza, la sua energia, il suo amore. Anzi è direttamente proporzionale a quanto dà: più dà e più incrementa ciò che ha. Così come l’avaro ha paura di dar via il suo denaro per timore di restare senza e di morire in miseria, allo stesso modo l’avaro di sé ha paura di perdere ciò che sa per paura di rimanere vuoto. Il dialogo interno di queste persone è il punto su cui focalizzarsi, le cose che principalmente si diranno sono: “Non ce la posso fare, non sono all’altezza, ci sono persone che ne sanno molto più di me, non ho l’energia adatta, non sono un altruista, non posso, ho bisogno di tempo…” e così via. Al dialogo interno si aggiunge anche la postura, spesso rilassata, il senso di stanchezza, il fisico poco usato nel movimento, l’indulgere alla pigrizia, le scarse relazioni profonde ed evolutive, gli stimoli ridotti per quanto riguarda il contatto umano. Analizzo uno per uno questi atteggiamenti: - postura rilassata: l’avaro di sé indulge spesso in posture sdraiate o abbandonate in divani o poltrone. La spina dorsale rimane spesso non eretta; - senso di stanchezza: è collegato a quanto dirò dopo sulla mente e l’uso che ne viene fatto. Comunque posso dire che quando il corpo non viene usato per fare attività fisica si abitua a stancarsi; - pigrizia: per l’avaro di sé la pigrizia è essenziale, sia la pigrizia fisica, sia quella della ricerca di sé. Infatti non appena inizia a ricercarsi e a prendere consapevolezza, inizia il processo di apertura; - scarse relazioni: chi non dà o non si dà tende ad avere scarse relazioni o ad avere relazioni superficiali, profonde solo per determinati aspetti che non vanno a scavare nell’inconscio, oppure ad isolarsi addirittura dal mondo; - stimoli ridotti verso il contatto umano: l’avaro di sé tende a rimanere statico, negli stessi luoghi familiari, con lo stesso gruppo di persone, con lo stesso ambiente lavorativo. Aprirsi al mondo, conoscerlo, conoscerne i vari aspetti provocherebbe apertura e fino a quando l’avaro non prende consapevolezza di volersi aprire, non si aprirà agli stimoli esterni del mondo. Veniamo ad un altro punto importante: la mente. L’avaro accumula in continuazione (vedi dialogo interno), ciò provoca nella sua mente uno stato confusionale che a sua volta genera stanchezza, che a sua volta genera l’impressione di non avere energia. Immaginate di avere una stanza in cui avete accumulato di tutto, e la maggioranza delle cose non le avete nemmeno messe a posto. Quindi avete mucchi di libri, mucchi di dischi, mucchi di vestiti, di quadri, ecc. C’è ogni sorta di materiale accumulato e quando ne avete bisogno riuscite a trovare solo l’ultimo che avete appoggiato oppure quello che un tempo siete riusciti a mettere in ordine, tutto il resto, è lì, sapete che c’è e questo vi dà sicurezza – ma è sepolto da qualche parte e allo stesso tempo avete anche la certezza che se vi servisse qualcosa all’improvviso, non sapreste dove cercarla. Questa è la stanza mentale generata dall’avaro di sé o dall’avaro in generale. Di fatto un avaro è anche avaro di sé. Come fa a darsi se continua a pensar di dover prendere? Ogni tanto donerà qualche briciola e sarà contento di averlo fatto perché potrà giustificarsi dicendo: “Ho dato anche io”. L’avaro non dà mai di sua spontanea volontà, eventualmente dà (dipende dal suo grado di avarizia) se qualcuno chiede il suo aiuto, in alcuni casi questo “dare” gli appare come una buona cosa e se non gli crea problemi può farlo di tanto in tanto. Le passioni dell’avaro si identificano in questi punti: accumulo, paura della perdita, paura del distacco, possesso. Quindi se l’avaro vuole evolversi questi sono i punti su cui dovrà lavorare. Percorso: 1. Mettere ordine: raggruppare quanto ha e prendere consapevolezza di ciò che ha e apprezzarlo. Uno dei punti su cui l’avaro deve focalizzarsi è sull’apprezzare ciò che ha. Perché è talmente occupato a prendere che non valuta ciò che già ha, non lo apprezza e non lo utilizza né per sé né per gli altri. 2. Aprirsi: l’apertura dell’avaro deve essere verso nuovi stimoli “non accumulabili”. Vale a dire se la conoscenza è accumulabile attraverso i libri, se gli hobbies sono accumulabili numericamente, ciò che non è numericamente accumulabile, va coltivato e ci si può aprire. L’osservazione di un luogo, di un tramonto, di un’emozione, di un volto, di un popolo, di un comportamento e poi l’elaborazione degli stessi a livello interiore genera apertura e allargamento mentale. La meditazione, anche solo l’osservazione del respiro che entra ed esce dai polmoni provoca un allargamento della coscienza e una apertura. In poche parole cambiare l’accumulo di cose numerabili con cose non numerabili. 3. Non possedere, non attaccarsi: il non possedere per l’avaro è il punto più ostico da raggiungere, poiché basa proprio tutta la sua vita sul possesso. Per non possedere e non attaccarsi deve iniziare a dare fuori. A donarsi. E può farlo gradatamente, con piccoli gesti, piccole attenzioni verso chi gli sta accanto, doni di sé senza aspettarsi nulla in cambio, senza alcuna utilità, senza nessun riscontro. Può donare il suo tempo con attenzione a non disperderlo, può insegnare ciò che sa a chi gli è più vicino inizialmente e poi anche ad altri, può ascoltare senza pensare a sé, può fare qualcosa che non farebbe mai perché fa un dono di sé e del suo tempo a chi ama. Questo è un altro punto focale per l’avaro. L’avaro non fa dono di sé se non ritiene che quel che fa gli serva o gli sia utile in qualche modo o se non gli piace. L’avaro tende a non “donare” né gesti, né tempo, né attenzioni, né doni fisici (il motivo lo abbiamo già detto sopra), quindi dovrà iniziare a lavorare proprio su questo. Iniziare a chiedersi: “Che accade se faccio questo per lei/lui?” – “Posso scegliere di donare il mio tempo a lei/lui/amici, anche se quello che loro vogliono a me non piace/serve?” – Il dono di sé agli altri parte proprio dall’uscire dal proprio piccolo giardino e arrischiarsi a entrare in quello dell’altro, trovandone piacere. Si può facilmente parlare di “ego”, ma preferirei che invece di dare definizioni generiche si comprendesse in maniera diretta quanto sto trasmettendo. Ego vuoi dire “io”, e l’avaro pensa solo ad “io”. L’immagine che ha di sé è di chi deve pensare a se stesso perché nessun altro lo farà. Ma fino a quando avrà questa credenza non cesserà di essere avaro. L’essere umano è fatto per “interagire”, non per essere individualista. I miei talenti possono essere diversi dai tuoi e se anche fossero simili, non sarebbero mai uguali o le modalità in cui li possiamo mettere a frutto sarebbero diverse. Se io so coltivare le rose, tu saprai coltivare i pomodori oppure come io coltivo le rose non sarà allo stesso modo di come tu coltivi i pomodori. Scambiandoci pomodori e rose noi ci completiamo, oppure scambiandoci metodi noi possiamo creare nuovi modi innovativi per migliorare le nostre coltivazioni. Se io rimango chiuso nel mio giardino e accumulo rose o pomodori, non c’è scambio, ma nemmeno evoluzione. Riassumendo perché un avaro di sé impari il dono di sé: 1. ordinare e apprezzare (dare valore) a ciò che ha; 2. aprirsi a nuovi stimoli non “numerabili”; 3. donare interagendo; 4. donare ciò che non vorrebbe fare (allargare la propria maniera di vedere fino a concepire di poter fare qualcosa che a lui/lei non piace fare e arrivare fino all’eccesso di “farlo per l’altro”. Forse un avaro potrebbe cambiare se, oltre a conoscere il metodo per cambiare, potesse comprendere “cosa gliene viene” a cambiare. Puoi dirci qualcosa? Come per ogni “passione” anche nel caso dell’avarizia il superarla porta ad un percorso evolutivo molto più avanzato. Quando si lascia questa terra, ogni passione è come un macigno che ci impedisce di passare ad un altro piano di esistenza. Maggiore è l’attaccamento e il desiderio verso i beni terreni, maggiore è la difficoltà di distaccarsi da questo piano di esistenza per passare ad un altro piano più elevato. Ma anche senza arrivare a pensare ad un aldilà, pensiero che per un avaro ateo o non consapevole di altri mondi potrebbe essere assurdo, possiamo anche vedere un’utilità nel superare una passione nel vantaggio che se ne trae in questa stessa vita. Un avaro di fatto non vive la vita. Infatti, come ho fatto notare prima, non apprezza ciò che ha, se non nel breve momento che lo “prende”. Inoltre un avaro di sé è anche avaro di sentimenti e di emozioni e nel tempo per la semplice legge del “dare-avere” potrebbe trovarsi a non avere più nulla. Un altro punto da valutare è la mancanza di libertà dell’avaro. L’avaro impegna tutto il suo tempo ad accumulare, cosa che lo rende schiavo. E’ schiavo del tempo che deve utilizzare per accumulare, è schiavo della stanza in cui deve accumulare, è schiavo della paura di non dare fuori ciò che ha. Mentre è impegnato in questa passione la vita gli scorre accanto e lui non ne gioisce se non per brevi attimi in cui ha un intuito di conoscenza, un guizzo di novità, un attimo di soddisfazione nel trovare qualcosa di inedito. Ma sono solo piccoli attimi che si esauriscono nel momento stesso in cui li prova. Di fatto l’avaro è avaro della vita stessa e non si permette di viverla. Imparando a donarsi e a donare provocherà una apertura verso l’abbondanza e inizierà a provare intanto l’ebbrezza di avere energia inesauribile, e salute o sentimenti. Inizierà a “vedere” gli altri non solo dal punto di vista utilitaristico, ma anche dal punto di vista di scambio evolutivo. Si accorgerà dei tesori che ha accumulato e anche di quelli che ha accanto, e finalmente si concederà di vivere sbloccando il karma che lo ha tenuto ancorato ad un grosso macigno per tutta la vita. Forse, il donare per un avaro può essere un “mondo sconosciuto” in cui ha paura di perdersi (perdere se stesso). In quali condizioni potrebbe avventurarsi con sicurezza/fiducia in questo mondo e cominciare a prendere confidenza con esso? Per trovarsi occorre prima “perdersi”. Perdere la sicurezza e paradossalmente la fiducia in ciò che si ha è un buon modo per avventurarsi in un nuovo mondo. Faccio un esempio, un avaro, come ho detto prima, tende a fare le stesse cose in maniera anche a volte ripetitiva, è ancorato a certi accumuli che protrae a volte per tutta la vita, sta negli stessi luoghi, non ama cambiare e non ama il cambiamento. Tutte queste cose gli fanno pensare di avere sicurezza e di non perdersi. Gli fanno credere di avere la mappa per poter tornare sempre alla base. E’ proprio perdendo questa sicurezza, però, che possono operare il cambiamento. Quindi la confidenza che devono prendere è quella con il cambiare. Cambiare proprio quelle abitudini e quella routine che hanno creato con tanta attenzione. Piccoli passi certo, come ho detto prima, l’avaro continua ad accumulare e non mette ordine (perché accumula troppo), prendersi un tempo (che gli dia comunque una ragionevole sicurezza), poniamo una settimana inizialmente, in cui non accumula e ordina la stanza, potrebbe essere un inizio. Poi il tempo potrebbe essere più lungo. Cambiare un’abitudine richiede molto tempo, così come ha richiesto molto tempo il formarla. Ma per cambiare l’abitudine occorre sostituirla con un’altra che sia ugualmente interessante, ma non dannosa. Poniamo il caso che ti mangi le unghie, potresti iniziare a cambiare l’abitudine di mettere le dita in bocca nei momenti di stress, stropicciandoti le mani. Così ogni volta che senti stress, o sei in tensione inizia a stropicciarti le mani, ci saranno volte in cui perdi la consapevolezza e ti troverai con un dito in bocca, ma altre volte potrai consapevolmente stropicciarti le mani. Fino a quando non avrai instaurato l’abitudine che allo stress e alla tensione corrisponde lo stropicciarsi le mani e ti troverai con le unghie lunghe. Lo stesso vale per qualsiasi passione. Qui parliamo dell’avarizia, quindi se hai l’abitudine che ad una data ora scarichi cose da Internet o accumuli o collezioni, in quell’ora inizia a fare qualcos’altro che ti interessi. Stacca il PC, stacca la mente dall’accumulo per qualche giorno. Nel frattempo potrai mettere ordine e al tuo dialogo interno che ti dice: “Ora perdo, ora non sto accumulando, ora riperdo quel passaggio, ecc,” sostituirai: “Ora metto ordine, così troverò ciò che mi serve, ora potrò leggere questi libri che ho accumulato e godermeli, ora potrò ascoltare questa musica, vedere questi film, sfogliare questi album di francobolli, ecc.” Stai sostituendo l’azione dell’accumulo con l’azione dell’ordine, ma nel frattempo ti stai “godendo” ciò che hai, apprezzandolo e ordinandolo. Pian piano potrei prendere confidenza con l’idea che per una settimana, un giorno, un mese puoi non accumulare e dedicarti ad attività fisiche o a goderti semplicemente quello che già hai. Poi potrai iniziare a conoscere aprendoti pian piano a ciò che non è “numerabile”, la gente, i luoghi, ecc. Potrai iniziare a fare passeggiate, a conoscere ambienti nuovi, e pian piano consapevolmente, unendo il tuo respiro e la meditazione a quanto stai facendo, concepire di allargare la tua visione che ora è semplicemente focalizzata su quanto devi accumulare. Il giovamento? Ordine mentale, energia, salute, piacere e non ultimo un percorso evolutivo che ti porterà molto avanti. Chi ha una passione come l’avarizia, arriva a riconoscerla e a comprendere che non è sana e decide di uscirne, non rischia di acquisire un’altra passione anziché “equilibrarsi”? Il primo punto è il riconoscere di avere una data passione, il secondo è capire che non è sana, il terzo, equilibrarla. Andare verso un’altra passione non è possibile, perché ognuno ha una passione talmente forte che non viene attratto da altre fino a quando non ha debellato la sua e, una volta che l’ha debellata, automaticamente raggiunge il suo stato di equilibrio. L’avaro deve imparare a vincere l’avarizia materiale (l’accumulo) e di sé, per farlo abbiamo già visto che vanno fatti dei passi. Ma qual è il frutto dello spirito al quale l’avaro deve arrivare? La generosità materiale e di sé. Una volta che l’accumulo è ordinato l’avaro riconosce ciò che ha. Mettendo ordine, quando gli occorre di conoscere qualcuno che ha bisogno di ciò che ha, sa dove andare a prenderlo. Allargando i suoi orizzonti ed uscendo dalla routine, vede anche il resto del mondo e impara ad accoglierlo in sé (in questo caso la passione da negativa diventa positiva, l’avaro impara a prendere amore e capisce che più ne dà e più gliene arriva). Quando inizierà a vedere il mondo non più come chi gli “toglie”, ma chi gli dà e come qualcuno a cui può donarsi senza tema di perdersi, avrà vinto la sua passione e trovato la generosità del donare la sua immensa conoscenza accumulata fino ad allora. E’ un processo, e il bello è proprio che è un processo. Vincere una passione è un processo che permette di iniziare a vivere, di iniziare a staccarsi dalle catene, verso la libertà. Non importa il tempo che ci si mette, pian piano si scopriranno strumenti che abbrevieranno il tempo e pian piano si vorrà abbreviarlo, quando se ne vedranno i vantaggi. Mentre il processo è in atto, inizia l’equilibrio e i benefici si sentono, qualcosa inizia a cambiare. La postura dell’avaro è inamovibile, ferma, statica, pian piano inizierà ad essere meno statico, inizierà a notare che l’energia è maggiore, che la stanchezza si fa sentire meno, che la mente è più leggera, che i legami sono piacevoli, che gli altri esistono, che esistono altri popoli, altre cose da vedere, fare, e… perché no, acquisire, ma questa volta con l’intento di dare per uno scambio alla pari. Ricordate però, è un processo, non un cambiamento immediato. Ogni passione si vince iniziando un processo di cambiamento a volte inizialmente lento, ma purché sempre in cammino. Nel vincere le passioni, ricordiamolo, sono importati gli amici (che ci fanno da specchio e che vanno osservati con attenzione perché proprio in loro vedremo noi), i partner, la famiglia. C'è un modo specifico in cui amici, partner, famiglia possono aiutare a vincere l’avarizia o un’altra passione? Può aiutare chi è consapevole della nostra passione e della sua. Se un partner sa di avere accanto un avaro può aiutarlo, ma solo se questi sceglie di farsi aiutare. Altrimenti può aiutarlo di riflesso, facendo notare (cosa che inconsciamente o meno ogni partner fa) i difetti dell’altro. Con l’amico è diverso, abbiamo detto che l’amico ha diverse affinità con noi. Un avaro è facile che attiri intorno a sé altri avari, in questo caso ognuno di loro si specchia nell’altro e vede il comportamento non più “scusandolo” o giustificandolo, ma osservandolo con la lente della ragione e dell’obiettività. Un amico ti aiuta nella misura in cui ti fa vedere un tuo comportamento e tu lo fai vedere a lui. Magari non nei vostri stessi confronti, ma nei confronti altrui. La famiglia serve, da bambini/ragazzi per il tipo di educazione che ci viene impartita, ma una volta che la passione si è instaurata in noi (e, attenzione, può venire da uno dei nostri due genitori, perché l’abbiamo osservata come esempio), da adulti possiamo vedere il genitore che ha la nostra stessa passione e osservarlo così come facciamo con l’amico che ha la nostra stessa passione, con distacco, ma in maniera critica (anche se non giudicante). Il momento in cui un partner, un familiare, un amico vero ci fa notare un nostro comportamento “non sano”, sarebbe bene, se si vuole migliorare ed evolvere, tenerne conto, osservarci, e decidere di migliorare. Se ad esempio ci viene detto che in una stanza non ci sta più nulla, sarebbe poco sano continuare ad accumulare roba fino a fare scoppiare quella stanza. Lo stesso vale se un partner ci fa notare che non prestiamo attenzione o non teniamo conto della sua esistenza, o che siamo “egoisti”. Se riteniamo l’accusa ingiusta, chiediamo maggiori dettagli, se riteniamo che ci possa essere del vero, valutiamo cosa fare per migliorarci. Se abbiamo identificato la nostra avarizia di amore/di affetto/di noi ecc. e ne abbiamo preso consapevolezza come di non sana, allora inneschiamo il processo della guarigione e avremmo iniziato il nostro cammino evolutivo in questa vita. Parlerò anche di altre passioni, e vorrei chiarire che non esiste una passione migliore di un’altra.....

Nessun commento:

Posta un commento